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2008-12-28

Plus, dieci anni di euro. Chi ci ha guadagnato

di Maximilian Cellino

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27 DICEMBRE 2008

Ue: passaggio di consegne tra la Francia europeista e l'euroscettica Praga

La disciplina ci ha evitato guai peggiori (di Marco Liera)

Tutti con la divisa di casa

 

La misura del successo dell'euro la si è avuta probabilmente due anni fa, quando gli sceicchi del petrolio del Medio Oriente, stanchi di vedere i loro guadagni erosi dal continuo deprezzamento del dollaro ipotizzarono di prendere la moneta europea come riferimento negli scambi sul barile. Poco importa che poi alle intenzioni non siano seguiti i fatti, la realtà degli ultimi dieci anni parla infatti di uno spazio crescente dell'euro negli scambi internazionali e anche come valuta utilizzata dalle riserve. Certo, il peso del dollaro è ancora preponderante e nei momenti di tensione, come dimostrano gli ultimi mesi, la divisa Usa viene ancora utilizzata come principale bene di rifugio. La sostanza, però, non cambia: a dieci anni dall'introduzione l'euro è, con buona pace degli scettici, ormai stabilmente affermato nel panorama finanziario internazionale.

Svantaggi di una moneta forte

Quando si guarda all'influenza che la moneta di Francoforte ha avuto sugli investimenti, il giudizio è suscettibile di diverse interpretazioni, ma una cosa è certa: in questi ultimi dieci anni il risparmiatore di casa nostra avrebbe quasi sempre fatto meglio a mantenere il denaro all'interno delle mura domestiche. Il forte apprezzamento che l'euro ha avuto nei confronti delle due principali avversarie – il dollaro (+18% in dieci anni) e la sterlina (addirittura +30%) ha di fatto finito per impattare significativamente sui rendimenti di chi non ha usato coperture contro i rischi valutari.

L'esempio lampante è il confronto con gli asset Usa: l'investitore europeo che avesse puntato su Wall Street agli albori dell'euro (si veda la tabella sopra) avrebbe riportato oggi a casa una perdita (28%) più o meno doppia rispetto a quella effettivamente registrata dall'indice S&P 500. Ma anche una puntatina a Londra avrebbe comportato una perdita del 24,6% a fronte di un indice Ftse 100 praticamente invariato. Se poi fosse andato a caccia di titoli governativi americani, il risparmiatore si sarebbe pari pari rimangiato l'extra-rendimento garantito in questi anni dalle cedole e dalla rivalutazione del Treasury. A conti fatti, fra le quattro principali monete mondiali, il saldo dell'euro sarebbe stato negativo (ma con un passivo decisamente inferiore) soltanto nei confronti dello yen o del franco svizzero: solo in questi casi (e a parità di performance) l'investimento oltre frontiera sarebbe stato relativamente conveniente.

Un mercato (poco) unico

Se dal punto di vista della circolazione della divisa l'Unione europea è un fatto inconfutabile, sotto l'aspetto dei singoli mercati dei diversi Paesi dell'Eurozona non si può proprio dire di aver raggiunto risultati significativi. Anzi, chi dieci anni fa pensava di veder tramontare le distinzioni tra le Borse dei vari Paesi e di doversi piuttosto concentrare sui settori si deve adesso ricredere. Le differenze fra i vari listini ci sono eccome, basta confrontare il +7,5% realizzato in questo lasso di tempo dal Cac 40 di Parigi con il -6,1% del Dax di Francoforte e il -23,7% dell'S&P Mib di Milano: performance che non possono certo essere spiegare dalla sola differente composizione settoriale degli indici.

Se poi si considerano i titoli di Stato, il fenomeno dell'allargamento dello scarto di rendimento col Bund tedesco (per il BTp di casa nostra e non solo) la dice lunga sulle differenze tuttora esistenti nell'affidabilità dei singoli Paesi, che dopotutto non hanno in comune la politica fiscale, ma soltanto quella monetaria.

La politica monetaria

Sotto quest'aspetto, il primo gennaio 2009 rappresenta anche l'anniversario dell'inizio effettivo dell'attività della Banca centrale europea: dieci anni di tassi di interesse (questi sì) uguali per tutti i Paesi dell'Eurozona. I giudizi sull'operato di Wim Duisenberg fino al novembre 2003 e di Jean-Claude Trichet successivamente si moltiplicheranno in questi giorni di ricorrenze, così come i confronti fra l'atteggiamento per certi versi più rigido di Francoforte e quello più aggressivo della Federal Reserve americana (quando si tratta di abbassare i tassi, ma anche di alzarli). Soltanto nei prossimi anni sapremo chi ha adottato la strategia migliore per fronteggiare quella che molti ormai chiamano la "crisi del secolo" e quali saranno le ricadute sui singoli Paesi dell'Eurozona. Ma la relativa stabilità sperimentata dal costo del denaro nel corso degli ultimi dieci anni è un dato incontrovertibile per i risparmiatori e le imprese italiane, e rappresenta probabilmente il vero valore aggiunto dell'Unione monetaria.

m.cellino@ilsole24ore.com

 

 

 

 

 

La disciplina ci ha evitato guai peggiori

di Marco Liera

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27 DICEMBRE 2008

U n tempo c'erano i crash di Borsa e quelli valutari. Solo caso per caso si poteva dire quali fossero i più gravi. Quel che è peggio è che le due tipologie di cataclisma finanziario potevano anche colpire simultaneamente lo stesso mercato di riferimento, con effetti dirompenti: basterà ricordare cosa è successo in Italia negli anni 70, quando le azioni vennero travolte dalla crisi economica, le obbligazioni si deprezzarono per il violento rialzo dei tassi, e tutte le attività in lire si svalutarono contro le monete forti. I dieci anni che l'euro sta per compiere sono stati, come era nelle attese, un periodo di grande stabilità valutaria per i Paesi che l'hanno adottato. Ma anche di inusitata volatilità borsistica. Difficile dire se i due fenomeni siano collegati. Se cioè gli eccessi comportamentali che caratterizzano periodicamente i mercati, trovando un limite insuperabile nella rigida disciplina monetaria, abbiano trovato il principale sfogo sui listini azionari, ampliando la gamma e la frequenza delle oscillazioni.

L' obiettivo di stabilità dei prezzi al centro della politica della Bce e di altre Banche centrali ha dato sì luogo a un lungo periodo di bassa inflazione, pur in presenza di crescita economica a rischio di surriscaldamento per la spinta dei Paesi emergenti. Ma al tempo stesso ha generato effetti indesiderati sulle Borse, quindi sulle aspettative di crescita economica, a volte raffreddandole bruscamente, a volte cercando tardivamente di riaccenderle. La Bce alzò i tassi il 3 luglio scorso dal 4 al 4,25% allo scopo, disse il presidente JeanClaude Trichet, di "ancorare le aspettative di inflazione a medio e lungo termine in linea con la stabilità dei prezzi". Di fronte alle rimostranze dei Governi europei, per nulla convinti della necessità di una stretta monetaria quando la stessa Bce riconosceva segnali di rallentamento dell'economia, Trichet ribadì con fermezza che la stabilità dei prezzi "non è in contraddizione con una crescita sostenibile".

Sembra passato un secolo. Nel frattempo, i mercati azionari sono crollati del 31% (indice Euro Stoxx), e la Bce ha dovuto affrettarsi a tagliare il tasso- chiave, portandolo all'attuale 2,5%. La crescita economica si è volatilizzata, lasciando il posto a tre trimestri consecutivi di flessione. Per i primi mesi del 2009 si teme una contrazione del 2 percento.

Gli eventi del 2008 insegneranno molto anche ai banchieri centrali. Ma sarebbe ingiusto giudicare l'utilità della disciplina monetaria solamente alla luce di quanto accaduto quest'anno. L'appartenenza alla moneta unica ha evitato guai peggiori soprattutto ai Paesi periferici. Tralasciando qualsiasi iperbole, come quella che disegnava per l'Italia un futuro "stile Argentina" se non avesse aderito all'euro (dimenticando che da noi la ricchezza privata è abbondante e prevalentemente residente), basta ricordare cosa sarebbe successo all'Irlanda attanagliata dalla crisi se non fosse stata dentro l'euro (suggerimento: guardate cosa è accaduto all'Islanda). E gli aiuti che l'Ungheria e la Polonia, Paesi extra-euro, hanno ottenuto a Francoforte. Anche all'Italia il rigore monetario ha giovato, vista la tradizionale indisciplina che la caratterizza, frutto di una politica ancora ostaggio di interessi particolari. Gli investitori in reddito fisso hanno beneficiato nel decennio di una rivalutazione reale dei risparmi denominati in euro. Se per le Borse è stato disastroso, non così è andata a chi ha investito in titoli di Stato, che hanno reso il 4,7% annualizzato lordo contro il 2,2% di inflazione media. È ignoto come saranno i prossimi dieci anni: ma se le Banche centrali e i Governi avranno imparato essere meno arroccati sui propri dogmi da una parte, e al tempo stesso meno accondiscendenti nei confronti dei ricorrenti eccessi della finanza, potranno rivelarsi sorprendentemente buon

 

 

 

 

Tutti con la divisa di casa

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27 DICEMBRE 2008

 

Investire in euro è stato un buon affare in questi anni e ci sono le condizioni perchè la valuta continentale possa dare ulteriori soddisfazioni. Per il risparmiatore europeo è una buona notizia. Vuol dire cercare rendimenti senza dover scontare rischi di cambio, "lavorando" con la moneta d'uso quotidiano.

Tutti gli scenari mettono in conto una tenuta contro la valuta Usa che resta il principale riferimento alternativo: nel consensus raccolto in questi giorni da Bloomberg il rapporto euro-dollaro dovrebbe posizionarsi mediamente nel corso del 2009 a 1,25-1,27 (quindi non sui forti livelli prenatalizi, prossimi a 1,40) con escursioni notevoli che il panel di analisti stima dall'1,07 (la quasi parità) a 1,48. In queste condizioni investire in dollari non sembra valere la candela anche perchè i rendimenti scontano il sostanziale "tasso zero" deciso dalla Fed. I Treasury a cinque anni rendono l'1,5% e non si va oltre il 2% sui decennali. Niente, al momento, che valga la pena di esporsi alla grande volatilità dei mercati valutari.

"La diversificazione per valuta ha certamente un senso – dice Giuseppe Attanà, presidente di Atic-Forex (l'associazione degli operatori che ha riunito tesorieri e cambisti) – ma, in questa fase, non credo sia d'attualità per una clientela retail. Ci sono invece opportunità in euro nell'area corporate, bancaria e non, con rendimenti buoni e con sufficiente trasparenza, cioè investimenti che hanno la possibilità di essere seguiti con maggiori flussi di informazione. Fra l'altro alcuni settori hanno una garanzia pubblica. Consiglierei una durata massima di due anni. Andare ad investire in altre aree, con una volatilità così diffusa, mi sembra di difficile gestione". Pochi credono nel recupero stabile del dollaro: occorrerebbe un'uscita rapidissima dalla crisi, con uno sprint sollitario dell'economia statunitense. Che nessuno prevede.

Anche nella migliore delle ipotesi la cura Obama, secondo le stime generali, non potrà produrre effetti prima del terzo trimestre 2009. È la speranza degli ottimisti come Deutsche Bank, convinta che il biglietto verde "recupererà sia sull'euro che sulla sterlina e riprenderà il suo cammino di rafforzamento". Gli analisti si posizionano nella parte alta della forbice nel primo trimestre 2010 quando il rafforzamento Usa potrebbe ricondurre il cambio a 1,15 quindi sotto l'1,29 di stima media.

Per Paul Duncombe di Schroder l'euro "è correttamente prezzato nei confronti del dollaro" e semmai deve essere tenuto d'occhio il rapporto della valuta continentale nei confronti della sterlina e con il franco svizzero che, secondo UniCredit Research, non potrà "restare estraneo al generale clima di recessione in Europa".

Il franco svizzero vive però sue logiche che lo hanno portato a tenere meglio le posizioni negli ultimi tre anni (vedi tabella in pagina). Resta il "grande yen", protagonista del rush 2008 con un incremento di circa il 30% sulla valuta unica. Ne hanno beneficiato i sottoscrittori di fondi comuni che registrano performance positive soprattutto nell'obbligazionario targato Giappone. In futuro uno yen forte potrebbe diventare un problema per il Governo locale che avrà interesse a favorire esportazioni.

Investire in fondi, conti correnti e prodotti denominati in valuta non è tecnicamente difficile per i risparmiatori italiani. Tutto dipende dalla convenienza: e in questo momento nessuno è in grado di moltiplicare l'imprevedibilità dei cambi alle incertezze sulla tenuta dell'industria finanziaria e dell'economia. Per questo nel clima di incertezza generale è meglio privilegiare la prudenza. Non è il momento di inseguire gli specialisti del carry trade (indebitamento nella divisa a tasso più basso per investire nella miglior remunerazione in altra valuta).

Non è il momento delle valute esotiche, se è vero che vanno in tilt anche le certezze dei possessori di divise storiche come l'euroscettica sterlina a ridosso della parità con il giovane euro.

Paolo Zucca

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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